I nostri pensieri possono influenzare le nostre emozioni. Viceversa, le emozioni possono influenzare i nostri pensieri. Inoltre, ciò che il corpo sente è influenzato dalle emozioni e dai pensieri, esattamente come ciò che sentiamo nel corpo condiziona i nostri pensieri e le emozioni.
Il nostro umore per natura è variabile. Alcuni schemi di pensiero però possono trasformare un momento di calo del nostro benessere emotivo, in qualcosa di più duraturo come ansia, tristezza e stress.
Oggi gli studi hanno determinato che non sono in sé le emozioni negative a fare il danno, ma il modo in cui reagiamo ad esse.
Lo sforzo che compiamo per cercare di liberarci dagli stati negativi, la ricerca a tutti i costi di una causa o di una soluzione, rischia di peggiorare le cose. L’effetto che si ottiene è quello delle sabbie mobili: più si lotta per uscire, e più si affonda. Questo accade perché la nostra mente è strettamente connessa alla memoria.
Davanti a uno stato emotivo negativo che insorge, inneschiamo un processo che si autoalimenta. Se per esempio ci sentiamo tristi, Iniziamo a pensare alla ricerca di una causa, con il fine di trovare una soluzione al problema della tristezza.
Questa ricerca innesca un processo che può facilmente portarci a disseppellire dal passato rimpianti, delusioni, esperienze dolorose, oppure a elaborare preoccupazioni per il futuro.
La nostra memoria si mette automaticamente alla ricerca di ricordi che rispecchino il nostro stato emotivo del momento.
Il perché è da ricercarsi nell’evoluzione dell’uomo. Memoria e stati emotivi sono strettamente legati per fornirci un’arma di sopravvivenza elementare. Applicata alle emozioni però, anziché farci stare meglio, provoca un peggioramento del nostro umore. Questa attività mentale, infatti, fa sì che, al malessere del momento, si sommino i dolori del passato e i timori per il futuro.
Come se non bastasse, questo genera in noi una serie di sensi di colpa, perché sprofondiamo ulteriormente nella tristezza, anziché riuscire ad uscirne. Di conseguenza, iniziamo a generare pensieri autocritici e a giudicarci negativamente: “È colpa nostra”. “Non siamo abbastanza forti”. “Non ci stiamo impegnando abbastanza”. “Dovremmo fare di più”. “Non ce la faremo mai”.
In questo ciclo distruttivo di recriminazioni e autocritica, finiamo per incolparci sempre di più, di non riuscire a essere chi vorremmo essere, di non corrispondere al nostro ideale di persona.
Tutto questo processo accade in un tempo brevissimo, senza che ne siamo consapevoli. È così che il nostro modo di reagire può trasformare emozioni temporanee e non problematiche, in emozioni persistenti e problematiche.
Infatti, ogni sforzo che facciamo per liberarci dalle emozioni e dai sentimenti sgradevoli, cercando di risolvere il problema, non fa che ritorcersi contro di noi.
Il perché è da ricercare in uno strumento potentissimo della mente, il “Pensiero razionale critico” (Pennman, Williams): la mente analizza la distanza che c’è tra il suo stato nel presente (per esempio la tristezza) e come invece vorrebbe essere felice.
Lo fa continuando ad applicare la modalità del FARE, suddividendo il problema in tanti piccoli pezzi, cercando di risolvere ognuno di questi e, successivamente, tornando a guardare il problema nel suo complesso per vedere se si è ridotta la distanza tra “ciò che è” e “ciò che dovrebbe essere”, e se ci siamo quindi avvicinati all’obiettivo.
Se questo funziona bene nelle questioni pratiche, applicato alla sfera emozionale può peggiorare notevolmente la situazione. Ciò accade perché la nostra attenzione si concentra sulla distanza tra “come siamo” e “come vorremmo essere”, suscitando in noi domande pericolose, come: “Cosa c’è che non va in me?”, “Perché sbaglio sempre?”, “Perché faccio sempre gli stessi errori?”…
Queste domande avviano un ciclo distruttivo di recriminazioni, di autocritica e di sensi di colpa, che minano la nostra autostima e la fiducia in noi stessi. La fitta interconnessione tra pensieri, emozioni e corpo, fa’ si che questo approccio risulti disastroso se applicato alla sfera emozionale.
Un approccio che conduce alla ruminazione mentale continua, nell’ingenua convinzione che, continuando a riflettere ossessivamente sul problema, troveremo presto una soluzione al nostro stato d’animo. Basterà solo pensarci ancora un po’.
Le ricerche dimostrano invece esattamente l’opposto: rimuginare è il problema, non la soluzione. Partendo quindi dal presupposto che non è possibile impedire che si inneschino emozioni e ricordi infelici, pensieri autocritici, pensieri negativi, l’unico modo che abbiamo per intervenire è quello di fermare ciò che accade dopo l’insorgere di uno stato emotivo negativo, quindi evitare che si crei il circolo vizioso che si autoalimenta e che innesca un vortice di ulteriori pensieri negativi e ipercritici.
Questo è possibile farlo solo attraverso la Consapevolezza (Mindfulness). Essere consapevoli che “stiamo pensando” quando stiamo pensando, ci consente di osservare i nostri pensieri a distanza, senza identificarci, senza seguirli. Lo stesso vale per le sensazioni e le emozioni.
Essere consapevoli significa fare un passo di lato, che ci permette di uscire dal chiacchiericcio negativo continuo della mente alle emozioni che si innescano come reazione.