Questa era la frase che, velenosa come una vipera, saltava fuori nella mia mente ogni qualvolta mi veniva detto qualcosa, o vedevo accadere qualcosa, e mi aspettavo protezione e soluzioni dalle persone che amavo.
Di base c’era questa convinzione, questo inciampo interiore, ovviamente ben motivato da accadimenti del passato, nei quali avevo visto disattendere una cura che, per l’età che avevo, avrebbe dovuto attuarsi da chi era deputato a farlo… mio padre, mia madre.
Quando ad esempio ero bullizzata a scuola, oppure quando minorenne e già lavoratrice venivo sfruttata o maltrattata dai datori di lavoro e dovevo sempre cavarmela da sola.
La vita per me era una battaglia, e in quella insidiosa arena della mia esistenza, io avevo oramai imparato a leggere ogni fatto ed ogni persona con i filtri acquisiti del “questo mi vuole fregare”.
Difficilissimo fidarsi di qualcuno, facilissimo venir ferita (oggi riconosco INVOLONTARIAMENTE) dagli altri.
Ci sono voluti anni di intenso lavoro di crescita personale per capire l’inghippo e darmi sempre la possibilità di una seconda lettura delle cose.
“È veramente questo che intendeva, oppure l’ho interpretato mettendo le mani avanti?”.
E non vi rendete conto di quante volte ho preso un granchio sulla base di convinzioni mie.
E poi la paura, quella fottuta paura del rifiuto, che mi impediva di andare da una persona alla quale tenevo davvero, a chiedere “senti, perdonami ma io son rimasta malissimo di quella cosa che hai detto… ma eri intenzionato a ferirmi, oppure ho capito male io?”.
Era più semplice soffrire e allontanarmi.
Oggi lo farei, eccome se lo chiederei.
Lavorare su se stessi è il regalo più grande che ci si possa fare.
Crescere al punto da potersi permettere un amore vero nel quale mostrare il fianco, potendo anche amare l’altro nelle sue fragilità.
Non pretendendo più che sia lui a doverci salvare la vita… perché non sono quelli che amiamo oggi a dover pagare i debiti di chi ci ha ferito ieri.
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